Gran Sasso 2912 mt il tetto degli Appennini

Salendo dalla cresta occidentale


Gira e rigira si finisce sempre per girargli intorno e qualche volta per salirla, è la nostra montagna più alta, la più bella per molti, la più alpinistica se affrontata diversamente da come facciamo noi, la sua cima è un punto quasi magico di certo unico, è il tetto dei nostri Appennini, ovviamente sto parlando del Gran Sasso, del Corno Grande, della sua vetta Occidentale. E’ Luca, che finalmente ritorna in montagna ad aver deciso la meta, e si riforma un pezzo della vecchia compagnia di Aria Sottile, manca solo Giorgio dei “vecchi assidui”, Giacomo è presente e si unisce a noi Andres che da tempo aveva in ballo una bella uscita in montagna, non poteva essere esordio migliore, lui spagnolo, assiduo dei Pirenei ma a digiuno di Appennini scaraventato alla prima occasione in vetta al Corno Grande. Le ambizioni di Luca erano troppe per il periodo estivo, nonostante la partenza antelucana da casa, l’alba l’abbiamo vista in autostrada invece che sulle prime creste del Portella come era nelle sue intenzioni, i colori tenui e le ombre lunghe sulla piana di Campo imperatore però ce le siamo beccate tutte e come sempre l’atmosfera delle prime ore della giornata nel nostro “Tibet” è letteralmente magica. Parcheggiamo accanto alle staccionate che delimitano il parcheggio sotto l’osservatorio, svegliamo una coppia che aveva piantato la tenda sui prati lì nelle vicinanze, non ci sentiamo in colpa, una scelta davvero sbagliata la loro; saliamo per la via così detta invernale, una serie di tornanti a salire direttamente verso il rifugio Duca degli Abruzzi dove, una volta sopra, non ci si riesce ancora ad abituare allo scenario di alta montagna che si apre davanti; in un colpo solo quell’enorme catino di dune di Campo Pericoli sovrastato e contenuto dalla cresta del Portella, dalla piramide del Pizzo Cefalone, dalle moli massicce dell’Intermesoli e del Corvo per finire alla ancora scura parete della cresta Ovest del Corno Grande, trasportano in pochi istanti in una dimensione di alta montagna che quasi sorprende. Per il nostro amico Andres, come per chiunque sale per la prima volta da queste parti, è da prima sorpresa e poi silenzio e contemplazione, servono per contenere così tanta “roba”. Prendiamo subito per la cresta verso Est, era tanto che non la percorrevo d’estate, non ricordavo il sentiero che taglia sotto il filo di cresta sul lato di Campo Imperatore, meno sali e scendi rispetto al tracciato invernale che scorre esattamente all’apice della cresta; superiamo l’anticima del Portella e poco dopo aver oltrepassato l’allaccio del sentiero estivo che proviene da Campo Imperatore, sulla sella del monte Aquila, deviamo a sinistra per tagliare attorno a campo Pericoli e sotto la parete Ovest del Corno Grande. La nostra prossima tappa è là davanti, la sella del Brecciaio, un autentico terrazzo che sporge sopra Campo Pericoli e di fronte alla sella dei Grilli, il sentiero fin lì scorre quasi in piano fino all’attacco della repentina salita, dove senza grosse difficoltà se non per il fondo estremamente sdrucciolevole, saliamo per arrivare ai 2500 mt. della sella. La sosta è d’obbligo, fermarsi per non vivere la cartolina che si ha davanti sarebbe un delitto, anche perché nel frattempo è giorno fatto ed i dettagli sono tutti più precisi, scanditi e amplificati dalle ombre più corte ma anche più buie e contrastanti. Ci mangiamo qualcosa e riprendiamo a salire descrivendo al nostro nuovo amico la cresta che andremo a percorrere da lì a poco e che si sta avvicinando velocemente; anche se avessimo voluto intimorirlo, naturalmente non era intenzione di nessuno e non lo abbiamo fatto con questa intenzione, non ci siamo affatto riusciti, Andres filava come un treno affatto preoccupato di nulla. Il sentiero dalla sella del Brecciaio fino alla piana è scomposto, soprattutto in alto si divide in tanti piccoli tratti tutti sconnessi, e ognuno finisce per salire con una traiettoria del tutto sua. Superata la gobba si spalancano davanti, al di là della ripida valle dei Ginepri, le spalle del Corno Piccolo e la sua seghettata cresta, ogni dente, ogni sperone, ogni campanile è il terreno di conquista degli alpinisti del centro Italia. Favorito da un’aria sufficientemente tersa l’orizzonte si stende ora e su questo versante fino al mare, tra le spalle del Corno Piccolo ed i pilastri dell’Intermesoli spicca per quanto verde l’intera catena della Laga, il grande bacino delle Centofonti che ho visitato poco tempo fa sembra leggersi quasi in ogni minimo fosso; poco oltre le sagome dei monti Gemelli mi avvicinano a Marina, oggi nelle Marche, non posso fare a meno di parlarne con Andres, mi pare carino, per quando a settembre ci verrà a trovare ad Ascoli, dargli quel minimo di coordinate sul territorio per far viaggiare la sua fantasia. Io lo faccio spesso quando mi trovo a casa alle falde del monte Girella, volo con la fantasia, arrivo fino alle antenne lassù, qualche volta mi infilo dentro il canalone fino al laghetto sulla sella e mi ritrovo con i profili dei Sibillini della Laga e del Gran Sasso davanti. La conca sassosa dentro cui sale la via normale per il Corno Grande è ancora in ombra, il tracciato per la cresta occidentale prende subito sulla destra, seguiamo dei bolli rotondi, prima su un sentiero con pochi tornanti, poi lentamente cominciamo a districarci tra le prime rocce, queste sono facili da salire, qualche placca appena pendente e qualche volta ci si infila tra grossi blocchi, quasi mai si è esposti, si sale in sicurezza fino sul filo di cresta; quando la si raggiunge il panorama è da mozzare il fiato, l’ambiente intorno è ormai prettamente roccioso, la parete Ovest scende ripida con tanti canali brecciosi sotto di noi, Campo Pericoli sembra molto più piccolo contenuto dalla dorsale di fronte che si alza repentinamente nella piramide di Pizzo Cefalone, non ci si abitua mai a queste cartoline. Tra una sosta e l’altra, che servono per non perdere nemmeno un dettaglio, riprendiamo a salire, ora a destra ora a sinistra del filo di cresta, per brevi tratti si scende nel lato ad est, si aggirano grosse rocce e si risalgono all’interno di piccoli canalini, un paio di passaggi leggermente più esposti o con un minimo di difficoltà in più sono protetti da maniglioni messi ad hoc, procediamo spediti. Risaliamo la cresta su delle pendenze pronunciate, con passaggi sicuri si scende un po’ e si taglia il versante Ovest fino a riprendere il filo, ogni passo e ogni passaggio è entusiasmante, tutto si svolge in estrema sicurezza e semplicità ma il contatto con la roccia non lesina emozioni, il resto lo fanno gli strapiombi sottostanti e gli ampi panorami. Divertente è dire poco, adrenalinico sarebbe dire troppo, entusiasma questo tratto e quando superati alcuni passaggi sul filo di piccole cengie, sempre pieni di mille appigli, ti accorgi di prendere il sentiero che conduce in vetta una sorta di nostalgia prende a scorrere; sembrano sempre troppo veloci trecento metri di cresta affilata e di roccia, quando inizi a prenderci gusto finisce. Tra il contatto con la roccia e la concentrazione per alcuni passaggi che già da soli ti ripagano dell’intera giornata e dell’alzataccia, quando si ci si alza sul filo di cresta la cartolina che colpisce di più è quando ti volti in dietro, verso Nord, in alcuni punti la linea di cresta che scende è tutta lì davanti sconnessa e senza logica, la prospettiva la fa appoggiare sui pilastri dell’Intermesoli, sulla grande mole di questa bellissima montagna; ancora di più emozionano i profili azzurri che risaltano come smeraldi dietro il pallore della grande piramide dell’Intermesoli: è il lago di Campotosto, quell’inconfondibile contorta lingua d’acqua azzurra che giace tra la catena del Gran Sasso e la Laga; con visibilità buona e cielo azzurro lo specchio d’acqua risalta tantissimo, da una parte i profili verticali e grigiastri dell’Intermesoli, dall’altra quelli verdi della Laga gli fanno da cornice, è uno dei panorami che assolutamente vanno visti almeno una volta nella vita di un escursionista. Sono felice per Andres che alla sua prima su questa montagna ha potuto vivere momenti così belli e viste così magnifiche, tante volte l’ho sentito pronunciare lo stupore che provava. Gli ultimi duecento metri sono di facile sentiero, il profilo della tozza croce spunta tra i roccioni che compongono la vetta; sono poche le persone che ci hanno preceduto, poche rispetto allo standard di questa montagna, supponiamo che sia dovuto all’ora ancora presta, tra poco quassù ci sarà la calca. Rimaniamo in vetta una buona mezz’oretta, l’assenza di vento e la temperatura piacevole non ci danno un motivo in più per andarcene; ci allunghiamo sull’anticima adiacente, su ogni pezzetto di cresta per scoprire tutti gli scorci possibili, meraviglioso quello sulla valle dell’Inferno che sfugge ripido sotto la cresta, sempre affascinante la conca del Calderone, più che mai priva di neve, avremo percorso più strada in vetta in quella mezz’ora che dall’inizio dell’escursione. Il Corno Grande nel frattempo stava prendendo le somiglianze di un formicaio, escursionisti arrivavano da tutte le parti, singolarmente, lunghe file, la progressione era continua e incessante, dalla direttissima, dalla cresta ovest, dalla via normale, era arrivato il momento di lasciare il posto ai nuovi; l’idea del ritorno era di scendere per la normale, prima però saliamo sull’anticima che a sinistra della vetta Occidentale chiude il Calderone, per goderci un affaccio più ampio sul calderone stesso e su tutte le cime principali del gruppo che da questa posizione sfilano imponenti e grandiose una in fila all’altra, si vede anche il Franchetti là sotto, nel mezzo della grande sella, tra l’Orientale ed il Corno Piccolo, con le colline abruzzesi sotto fino al mare, che poesia, anche i famosi terrazzi sotto la vetta centrale, che belli che sono, attirano, sembrano chiamare come epiche sirene. Ogni spigolo di cresta diventa velocemente sovraffollato, basta, da fastidio vedere una montagna aggredita in questa maniera, è davvero giunta l’ora di scappare, è anche l’ora, come sempre, di promettersi di non salire più nei mesi centrali estivi, promessa vana, sappiamo tutti che succederà ancora. La discesa è decisamente controcorrente, ammesso che un vero e proprio sentiero sulla via normale quasi non esiste abbiamo dovuto scendere per vie diverse, un po’ a senso, dove capita capita, per non scontrarsi con chi saliva, la fila di escursionisti era ininterrotta ormai, anche con i cani al seguito salivano, persone di tutti i generi, compresi evidenti turisti della domenica o peggio ancora della riviera. La speranza è che non prendano la salita sotto gamba, normale quanto si voglia questa via fa sempre parte di una montagna che va rispettata, sassi e rocce che si muovono e cadono verso chi sta sotto, rischi di cadute, di scivolate sono sempre in agguato, soprattutto quando non si va con la giusta concentrazione. L’unica cosa bella della discesa è avere di fronte costantemente il Corno Piccolo, l’Intermesoli, la Laga, il lago di Campotosto e sullo sfondo i monti Gemelli, … che sbornia di montagna quando si viene da queste parti!!! Controcorrente continuiamo fino alla sella del Brecciaio, sempre contro una processione costante di escursionisti (nonostante l’ora tarda e ormai l’alta temperatura della mattinata inoltrata), precipitiamo a valle lungo il scivoloso traverso sotto la cresta Ovest, il resto è una passeggiata veloce poco rilassante a causa del sole a picco che dentro Campo Pericoli diventa ancor più rovente a causa della completa assenza di vento. Il rientro lo facciamo dal sentiero estivo, poco oltre la sella del monte Aquila lasciamo la cresta e prendiamo a scendere sotto l’anticima del Portella, Marina nel frattempo è salita da Ascoli per “recuperarmi” e ci viene in contro, la incontriamo quasi in fondo al sentiero, non gli abbiamo dato nemmeno modo di impolverarsi le scarpe. Ha però fatto in tempo di aggiungersi alla colossale mangiata di arrosticini che da lì a poco avremmo consumato; il camioncino dello “street food” parcheggiato accanto al hotel di Campo Imperatore ci sembra un miraggio; subito delle birre nel frattempo che una sessantina di arrosticini finiscano di cuocersi, le gambe non si sono ancora freddate che iniziano a scaldarsi le mascelle. Andres a questo punto ha conosciuto tutto di noi, la passione per la montagna, il nostro modo spensierato e allegro di salirla e anche il “Gloria” con cui amiamo chiudere e sublimare tutte le escursioni. Chissà, forse gli abbiamo dato un motivo in più per riunirsi presto a noi. E’ la speranza mia, di Luca e di Giacomo.